Il duomo simbolo della capitale, betulle, abeti e pini.
Una piscinetta ed un giardino bellissimo.

Questo è quello che ogni giorno vedevo quando mi affacciavo dalla finestra accanto alla mia scrivania al lavoro, per distogliere lo sguardo dagli schermi. Erano pur sempre dei panorami affascinanti.

Ci passai nove ore al giorno per cinque giorni a settimana, quattro anni in totale. Pochi colleghi (ma buoni) e diversi progetti con clienti internazionali che una decina di anni fa ancora sognavo. La mia mente inizialmente aveva dipinto un quadro diverso, allora raffigurava creativi riuniti a un tavolo a cercare idee, vogliosi di trovare ispirazioni in ogni angolo.

Si chiama idealizzare.

La pressione delle scadenze, il cronometro digitale che registrava ogni secondo lavorato ad un progetto, le chiamate dei clienti il venerdì poco prima della chiusura, gli ordini quotidiani “entro domani” o “entro il pomeriggio” e per i più clementi “entro domani sera”. Quarantotto mesi passati a pranzare davanti allo schermo: a sinistra la forchetta e a destra rigorosamente il mouse. Eppure io non sono mancina.

Case, finestre ed una scuola.

Questo è quello che ogni giorno vedo quando mi affaccio dalla finestra accanto alla scrivania del mio nuovo studio, per distogliere lo sguardo dagli schermi. Una vista comune in città.
Non c’è l’ombra del duomo, tantomeno il giardino fiorito, ma la mia mente guarda lontano e copre qualsiasi rumore – come se mi affacciassi sul mare.

Non sarà una vista da sogno,
ma ha il sapore della libertà.